Non possiamo prestare fede alle leggende che fanno derivare alcune delle storiche famiglie romane dalle antiche "gentes" di Roma:così come i Massimo si dicono discendenti da Fabio Massimo, i Crescenzi dagli antichi Trebazi e dagli Aeli, i Colonna da Giulio Cesare, ecc., si dice che i Serlupi discendessero da quel famoso console romano Publio Rutilio Lupo che morì combattendo valorosamente nel 90a.c., l'anno stesso del suoconsolato.
Più fondato potrebbe essere il considerare i Serlupi discendenti dalla famiglia Lupi, di antichissime e sovrane origini. In proposito si ricorda che il Cappuccini, nel suo Vocabolario della lingua italiana,alla voce"sere" indica che fu titolo proprio di preti e di notai e che a questi ultimi si dà ancora talvolta in Toscana; ed aggiunge che "si conserva incorporato in parecchi cognomi: Sergiacomi, Serlupi, Serristori, ecc.".
I Lupi, al pari degli Estensi, dei Pallavicini, Cavalcabò, Malaspina ed altri, discendono dalla stirpe Obertenga, cioè da Oberto 1° marchese di Liguria Orientale, conte di Luni e conte di Bobbio sin dal 950 come Feudatario Imperiale: il capostipite Lupo visse alla fine del sec. x°.
I Lupi si divisero in diverse linee che si sparsero per differenti regioni, talvolta anche modificando il proprio casato.
In merito ai Serlupi, la relativa genealogia certa ed ininterrotta inizia alla fine del XIII° secolo con Girolamo, che sposando Ceccolella, figlia di Giovanni di Cencio, acquistò il castello di Sant'Onesto e ne divenne signore il 15 settembre 1296 ( nel relativo atto è chiamato “nobilis”); trattasi del castrum o castellum Sancti Honesti, già dei Capocci poi degli Orsini e Colonna, che prese il nome dalla vicina più antica Chiesa di Sant’Onesto, posto nell’agro romano in località poi detta Marco Simone (Guidonia Montecelio).
Urbano 5° nel 1365 nominò Vescovo di Tricarico Pietro Serlupi, suo Cappellano ed Uditore del Palazzo Apostolico.
Buzio nel 1311 era “Paciere di Roma”; Giovanni di Pietro di Cecco di Buzio nel 1398 fu il primo “Conservatore di Roma” della famiglia, il che significa che già a quell’epoca i Serlupi godevano di una posizione di prestigio nell’ambito della nobiltà romana.
Nel 1495, e forse già prima, Giacomo è Guardiano del S. Salvatore, incarico riservato ai membri delle più nobili Casate romane. Nell’anno 1500 troviamo il secondo Conservatore di Casa Serlupi nella persona di Giacomo Girolamo. Nel periodo 1398-1844 i Serlupi ricoprirono per 35 volte la carica di Conservatore: ricordiamo i citati Giovanni e Giacomo,Giordano, Gregorio, Gio Filippo, Francesco, Gio Battista,Francesco,Domenico,Filippo, Giovanni, Girolamo, Domenico e Girolamo.
A Gregorio n. 1511, primo marchese della famiglia, sp. Giulia Mattei, letterato ed erudito assai caro al Pontefice Paolo 3°, Conservatore (1531 e 1541) e priore dei Caporioni(1541), fu concessa da questo Papa la cappella gentilizia all'Aracoeli nel 1535; altro più recente sepolcro (metà ‘800) è nella Chiesa del Gesù presso la Cappella della Madonna della Strada, recante incise in un unico stemma le armi Serlupi-Crescenzi (Gerolamo) e Ottoboni-Boncompagni (Giovanna). Altre Cappelle sono nel Pantheon e in S. Maria in Campitelli.
Giovanni Filippo fu cancelliere del Senato e capo rione di S. Eustachio nel 1599. Altri Serlupi sono registrati fra i maggiorenti nel rione diS. Angelo con i Capranica e i Mattei. Nel 1595 Gregorio era Console della Nobile Arte dell'Agricoltura. Francesco fu Vice Governatore di Roma, Uditore di Rota e conservatore (1604).
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Alla fine del secolo 16° Gio Filippo rifabbricò il precedente palazzo che era al posto dell'odierno Lovatelli fra Piazza Campitelli e piazza S.Angelo in Pescheria; esso venne ultimato dal figlio monsignor Gerolamo, Chierico Presidente e Decano della Camera Apostolica, e fu venduto non prima del 1744, essendo menzionato in detto anno dal Bernardini come appartenente ai Serlupi. L'attuale Palazzo Serlupi in via del Seminario era dei Crescenzi e fu rifatto da Ottaviano Crescenzi nel 1585. |
Palazzo Serlupi via del Seminario Roma
Per disposizione testamentaria e in base al Breve Pontificio del 15.4.1642, Francesco Serlupi di Livia di Ottaviano Crescenzi e di Sallustia Cerrini successe per "surrogazione" alla Casa Crescenzi, assumendone con tutti i suoi discendenti il nome e l'arma. I Serlupi furono eredi anche delle estinte famiglie romane Annibaldi della Molara e Mellini.
Con la Bolla "In Supremae" del 30 Marzo 1648 Papa Innocenzo X°, che riconobbe come suoi parenti i Serlupi, i Del Bufalo, i Mattei ed i Massimo,concesse a Gregorio Serlupi, Maestro di Strada (carica già ricoperta nel 1550 da altro Gregorio Serlupi), il Marchesato di Vacone, con tutti i discendenti maschi e femmine; detto feudo venne concesso con assoluta giurisdizione non solo in Vacone, ma in tutto il Circondario, con pieno dominio sui Vassalli e le loro terre. Sin da allora i Serlupi innalzarono nel proprio Palazzo il baldacchino rosso, come gli altri baroni romani, ed usarono il manto nello stemma. L'Antologia Romana dell'anno 1785 alla pag. 191, vol. 11, cita una sala del Palazzo Serlupi con un "baldacchino" sotto il quale era collocato il ritratto del Papa regnante.
Innocenzo X, che non si recò mai a Castel Gandolfo, con un Breve concesse al marchese Gregorio Serlupi l'uso di un casino contiguo al palazzo Pontifico, che seguitò a godere la sua consorte marchesa Anna Maria Costaguti.
In un elenco di nobiltà romana del 1653 risultano iscritti Francesco e Gregorio Serlupi; detto Francesco, riconosciuto parente da Innocenzo X (i Serlupi furono parenti anche di Clemente X e di Benedetto XV), fu conservatore nel 1654.
In una cavalcata del 1676, cavalcarono i “Cancellieri del Popolo Romano”, carica che allora detenevano i capi delle nobili famiglie romane Serlupi e Naro. Il 24.3.1742 ebbero la nobiltà di Corneto.
Nel 1746 I Serlupi furono iscritti nella Bolla Benedettina come "coscritti", grado che è il piu' alto nel patriziato romano, essendo state scelte le 60 famiglie coscritte fra le piu' nobili ed antiche delle 180 costituenti il Patriziato Romano.
Gerolamo (morto nel 1779) fu Cavallerizzo Maggiore di Clemente XIV (1771) e di Pio VI e la medesima carica ricoprì Gerolamo Serlupi Crescenzi Mellini (m. 1867-ved. ritratto nella sezione”Foto”). All'epoca di Pio VII il March. Domenico Serlupi fu Ispettore dei Capotori col rango di Colonnello.
Francesco (1755-1828) pro-governatore di Roma e Decano della Sacra Rota nel 1823 fu nominato Cardinale di Santa Romana Chiesa (per la sua biografia ved.il Dizionario di erud.st.eccl.del Moroni).
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Nato a Roma il 26 ottobre 1755, studiò legge e da giovane fu votante del Tribunale della Segnatura Apostolica sotto Papa Pio VI° e poi referendario dello stesso Tribunale di giustizia e di grazia (17 agosto 1780). Fu ordinato sacerdote il 4 maggio 1801, fu auditore della Sacra Romana Rota (4 maggio 1801) e scelto dal Card. Romoaldo Braschi come vicario della patriarcale Basilica Vaticana (2 gennaio 1808). Fu Pro-governatore di Roma (24 settembre 1808-6 luglio 1809) e venne rimosso dall’incarico dai francesi e inviato in Corsica, ivi imprigionato per tre anni. Decano degli Auditori della Sacra Romana Rota nell’agosto 1817. Creato Cardinale Prete nel Concistoro del 10 marzo 1823, col titolo di S. Prassede (16 maggio 1823) e annoverato alle congregazioni cardinalizie della concistoriale, del concilio, dei riti, della rev. Fabbrica di S. Pietro e della Lauretana. Morì a Roma il 6 febbraio 1828 e fu esposto nella Chiesa di S. Maria in Aracoeli dove si svolsero i funerali celebrati dal Card. De Gregorio e venne sepolto nella Cappella di famiglia dedicata alla SS. Concezione nella stessa Chiesa. Bibliografia Boutry Philippe, Souverain et Pontife, Ecole francaise de Rome, 2002, pp.466-467 ; Del Re Niccolò, Monsignor governatore di Roma, Istituto di Studi romani , 1972, p. 122; Ritzler Remigium, Hierarchia Catholica, vol. VII, Padova 1968, pp. 15 e 44; Weber Christoph, Legati e governatori dello Stato Pontificio 1550-1809, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994, pp. 362 e 909-910; Moroni Gaetano, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1853, vol. 64, p. 183-184. |
La carica di Cavallerizzo Maggiore di S.S., una delle quattro maggiori cariche laiche della Corte Pontificia (con trattamento parificato a quello dei Principi),era tradizionalmente ereditaria nella famiglia Serlupi: nell'800 la ricoprì Girolamo, poi il figlio Luigi, quindi (dopo che nel 1903 era stato nominato coadiutore il figlio Carlo) nel 1912 il fratello Francesco ed alla sua morte (1929) Giacomo, ultimo Cavallerizzo Maggiore essendo stata tale carica abolita da Paolo VI con la riforma della Corte Pontificia del 1968.
Alfonso (+ 1944) fu Esente (Colonnello) nel Corpo della Guardia Nobile di S.S. e come tale anche Cameriere Segreto Partecipante; anche il figlio Luigi ha raggiunto il grado di Esente nel Corpo medesimo.
Alfonso Serlupi |
I Serlupi hanno avuto molti Cavalieri d’on.e dev.del S.M.Ordine di Malta, fra i quali: Francesco, Alfonso (nel 1900), Giacomo, Crescenzio,Carlo, Uberto, Giovanni con i figli e Domenico. Sono stati ricevuti per giustizia anche nell'Ordine Costantiniano di S.Giorgio (1861 Balì gran croce) e nel Sacro Militare Ordine di S.Stefano P.e M.(1662 come quarto Carducci). Domenico (1939), oltre a cav. d’on. e dev. di Malta, è Balì gran croce di giustizia dell’Ordine di S. Stefano P. e M. (del quale è Vice Cancelliere e Gran Conservatore), cav. gr. cr. dell’Ordine di S. Giuseppe (del quale è Vice Cancelliere), dell’Ordine Cost. di S. Giorgio (è membro della Real Deputazione e della R. Commissione per l’Italia, supervisore per la Toscana) e dell’Ordine al Merito Civile di Toscana (del quale è Gran Cancelliere).
Si sono imparentati, fra gli altri, con i Branca, Anguillara, Del Bufalo, Carducci,Cavalieri,Crescenzi, Costaguti, Molara, Mellini, Verospi, Collicola, Ottoboni Boncompagni Ludovisi, Spinola, Ollandini, Sacchetti, Paternò, Antici Mattei, Crispolti, Mariotti-Solimani, d’Ongran, Borghese.
Il Comune di Roma ha recentemente intestato una strada come " Via dei Serlupi"; non esiste piu' la Piazza Serlupi (sostituita dall'attuale Piazza Lovatelli) dove sorgeva il primo palazzo Serlupi fatto erigere nel 1580 da Gianfilippo su vecchie case che la famiglia già possedeva dal 400 i cui lavori furono affidati all'architetto Giacomo della Porta, che non li ultimò : nel 1619 furono proseguiti e conclusi da Monsignor Girolamo Serlupi come già detto.
La Famiglia Serlupi è iscritta negli Elenchi Ufficiali della Nobiltà Italiana con i seguenti titoli: marchese (mpr), patrizio romano (mf), coscritto (mpr),nobile di Corneto (mf). Il titolo di marchese fu riconosciuto anche alla linea di Francesco (+1929) nel R.D. 1.3.1917, nel Decreto del Re Alberto del Belgio del 26.3.1922, nella Bolla del Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta del 7.12.1921, in atti ufficiali dei Papi Leone XIII, Pio X, Pio XI e Benedetto XV (16 luglio 1919), negli “Acta Apostolicae Sedis” del 29.2.1912 e 17.9.1914, nonché in Decreti della R.Casa Borbone Due Sicilie e della I.R.Casa Granducale di Toscana. Accertato che il titolo marchionale fu attribuito nei “Fasti Capitolini” anche ai “maschi ultrogeniti” (Domenico, 1710,ecc.), la R. Commissione Araldica Romana nell'adunanza del 20.6.1942 (relatore M.se di Sorbello) si espresse per tale riconoscimento. La Consulta Araldica aveva infatti adottato la seguente “massima” : “ Può considerarsi come fonte di diritto autentico e valevole il titolo nobiliare segnato nelle tavole marmoree dei fasti capitolini unitamente al nome della famiglia e ciò anteriormente alla Bolla Urbem Romam”.
Il trattamento di "don", usato tradizionalmente nell'800 dai Marchesi romani cd."di baldacchino", e così anche dai Serlupi, è stato riconosciuto da S.S.Pio X il 19.2.1912 nell'atto di nomina di Francesco a suo Cavallerizzo Maggiore, conferendo così formale sanzione sovrana all'antico uso: "il documento pontificio del 1912, recependo la preesistente consuetudine, a norma dell' ordinamento canonico ha consolidato nella famiglia Serlupi Crescenzi il diritto al trattamento di don" (così si esprime Mons. Prof. Andrea Drigani, Presidente del Tribunale Ecclesiastico della Toscana e del Tribunale Diocesano, nonchè docente ordinario di diritto canonico nella Facoltà Teologica dell'Italia Centrale). Anche la Segreteria di Stato di S.S., con nota n. 20.049 del 6.7.1979, a proposito del trattamento di “don” attribuito a Francesco Serlupi chiariva che gli appellativi di trattamento non sono per la Santa Sede concessioni speciali, ma attributi di riguardo suggeriti dalla “prassi comune”.
La famiglia Serlupi è attualmente divisa in due rami, discendenti dai due figli di Gerolamo (1802 - 1867); il ramo di Luigi Serlupi Crescenzi (1830-1912), residente a Roma, è rappresentato dalla famiglia di Gregorio, dai figli di Carlo e da Giovanni con i figli; il ramo di Francesco(1839-1929), ora residente a Firenze, è rappresentato dai figli di Giuseppe Serlupi d'Ongran e di donna Anna Maria dei Principi Borghese: Domenico (che ha assunto il cognome e lo stemma Serlupi Crescenzi Ottoboni), Alfonso (+), Maria Pia, Francesco, Angela, Fabio (+),Teresa, Andrea e Paolo con i rispettivi figli.
Arma troncato inchiavato d'azzurro e d'argento, ognuna delle quattro punte d'argento terminante in un giglio dello stesso. |
Prima dell’Antonelli (Riv.Ar. 1903) avevano trattato l'argomento Gaetano Moroni, il Conte de Tournon e il Conte Capogrossi Guarna, mentre successivamente la materia non ha avuto particolari approfondimenti nè da parte della Consulta Araldica nè degli studiosi se si eccettuano due articoli di Domenico Serlupi Crescenzi apparsi sulla Rivista del Collegio Araldico (1963 p. 153 e 10/1968) ed una nota di Aldo Pezzana (4-5-6/1975 p. 119).
Com’è noto, l'unico diritto riconosciuto dalla legislazione nobiliare del Regno d'Italia è quello del trattamento di don (art. 39, 2° comma lett. B) dell'Ordinamento del 1943) che menziona genericamente le famiglie marchionali romane così dette di Baldacchino nella stessa norma che riguarda le famiglie principesche e ducali.
In effetti da parte della Consulta Araldica, non è mai stata emanata una massima che definisca i criteri per stabilire quali siano in concreto queste famiglie; ed è logico - afferma autorevolmente il Marchese Aldo Pezzana nella nota citata- perché trattandosi di un'equiparazione essenzialmente morale e sociale alle maggiori famiglie dell’aristocrazia romana è difficile trovare una formula giuridicamente precisa, ma il legislatore ha volutamente lasciata aperta la concreta individuazione, anche in tempi diversi,delle famiglie romane rientranti in questa tipologia sì da goderne i relativi diritti. Ed a tal fine il Pezzana indica testualmente quali "elementi decisivi": l'importanza storica e sociale della famiglia, la sua posizione nei vari gradi del patriziato romano, i possessi feudali avuti, i Cardinali esistiti nella famiglia (i quali, essendo equiparati ai Principi Reali, danno un lustro principesco alla stessa), le alleanze matrimoniali con le famiglie principesche e ducali,le grandi cariche della Corte Pontificia. Fra le famiglie che usarono il "don" l'illustre studioso cita le seguenti: Patrizi Naro, Theodoli, Capranica del Grillo, Costaguti, Falconieri, Massimo, Sacchetti, Serlupi, Riccini e Soderini.
Il titolo di marchese di baldacchino non venne mai concesso come tale con atto del Sovrano Pontefice (ad eccezione dei Sacchetti e dei Riccini di Mantova, questi ultimi "ad personam"), ma venne assunto unilateralmente da alcune famiglie cospicue già marchionali, adottando, nel corso del XVII-XVIII sec., le prerogative e le forme che erano proprie a Roma dei Cardinali, dei Vescovi, del Senatore, dei principi e duchi. Si trattava in particolare, come risulta dal testo di un'istanza rivolta a Papa Pio VI da alcuni marchesi feudali che desideravano avere conferma ufficiale dei loro privilegi, dell'uso dell'ombrellino, dell'andare in Roma con prima e seconda carrozza, dell'usare il Noi nei bandi feudali, del godere dell’eccellenza, dell’innalzare il baldacchino in sala e nelle sale di udienza dei feudi,dell'usare il manto di ermellino sullo stemma. Siamo di fronte ad una particolare usanza dell'araldica romana dove la volontà privata forma usi ed istituti codificati nell’ ambito delle famiglie romane, al di fuori dell'intervento dell'autorità sovrana che però li accetta,li dichiara aventi valore legale, ma non li regolamenta: per tale ragione alcuni studiosi vi hanno ravvisato a ragione la sopravvivenza dei principi giuridici caratteristici del diritto romano con la prevalenza della volontà privata.
Storicamente si può ricordare che la denominazione di marchesi di baldacchino veniva agli inizi usata per indicare i marchesi romani godenti di un feudo con effettiva giurisdizione e Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, ci dice come lo divenne nel 1640 Bernardino Naro quando ottenne che la contea di Mustiolo fosse elevata a marchesato precisando che "sin da allora la nobilissima famiglia romana Naro usò il baldacchino e l'ombrellino celeste oltre il cuscino coperto di drappo di tal colore". Nell'800, dopo le rinunce feudali (1816-18),la denominazione in questione venne ad indicare nella prassi comune quei primari marchesi che dal Cerimoniale della Corte Pontificia erano considerati al di sopra dei normali marchesi ed assimilati nel trattamento e nelle precedenze al ceto dei principi e duchi romani. Godevano ad esempio, fra gli altri, del privilegio di essere ammessi all’udienza pontificia con la spada ed il cappello in mano e di intrattenersi direttamente nell'anticamera segreta al pari dei principi, degli ambasciatori e ministri di sovrani, del Senatore di Roma e di Bologna, dei Grandi di Spagna, dei Generali militari, dei Camerieri Segreti di Cappa e Spada Partecipanti, degli Esenti della Guardia Nobile di S.S. di servizio e dei Ciambellani di alcune Corti (più recentemente lasciavano il cilindro sulla consolle dell'anticamera segreta). Tutti gli altri dovevano depositare il loro copricapo nella "Sala della Bussola" all'inizio dell'appartamento papale. Le dame romane di famiglie principesche, ducali o marchionali di baldacchino in udienza dal Pontefice portavano il guanto sinistro infilato, mentre tutte le altre tenevano i guanti in mano.
Si ricorda inoltre che alcune antiche famiglie patrizie romane indicate come coscritte nella Bolla Benedettina godevano secolarmente di elevate cariche nella Corte Pontificia come quella di Cavallerizzo Maggiore di S.S. dei Serlupi Crescenzi, di Foriere Maggiore dei Sacri Palazzi Apostolici dei Sacchetti, di Vessillifero di S.R.C. dei Patrizi Naro Montoro, di Sovrintendente Generale delle Poste dei Massimo (che, prima di essere creati principi, erano marchesi), di Maestro del Sacro Ospizio dei Ruspoli, di Latore della Rosa d'Oro dei Soderini; i titolari di tali cariche erano compresi fra i Camerieri Segreti di Cappa e Spada Partecipanti, ai quali erano riservati trattamento e precedenze proprie anche dei principi e facevano parte della Famiglia Pontificia Laica.
Queste famiglie marchionali e poche altre di analoga elevata posizione sociale (Theodoli,Costaguti,Falconieri, Capranica) erano di fatto equiparate nel trattamento e nelle precedenze ai principi (pur non godendo di speciali concessioni, come ebbe a riconoscere anche la Congregazione Araldica Capitolina) e venivano comunemente indicate come "di baldacchino" in base ad uno degli elementi onorifici più significativi ed esteriormente evidenti che contraddistinguevano appunto i principi.
Già nel 1864 Octavian Blewitt scriveva nella sua pubblicazione "A handbook of Rome and its environs" (ed. J. Murray, Londra, p. XXXIV): "...four families -the Marquises of Patrizzi, Serlupi, Sacchetti and Theodoli -who occupy an intermediate position between the Roman Princes and inferior nobility, under the name of Nobles of the Canopy (Nobili del Baldacchino), from having, amongst other privileges, that of exhibiting the throne of the Princes and Dukes in their antechambers.". E nell'edizione successiva del 1867 John Murray confermava:"...four families — the Marquises of Patrizzi, Serlupi, Sacchetti, and Theodoli — who occupy an intermediate position between the Roman Princes and inferior nobility, under the name of Nobles of the Canopy (" Nobili del Baldacchino"), from having, amongst other privileges, that of placing the feudal throne, with the blue parasol and kneeling cushion of the Princes and Dukes, in their antechambers."
Ad iniziare dall’Elenco Provvisorio delle famiglie nobili e titolate della Regione Romana (1899) e dal successivo Elenco Ufficiale definitivo del 1902 ed attraverso diversi e successivi riconoscimenti dell'Autorità Pontificia (per i Serlupi nel 1912 e per i Sacchetti nel 1932) e della Consulta Araldica (per i Patrizi, Theodoli, Costaguti,Soderini e Falconieri), lo status particolare di alcune famiglie venne consolidandosi anche col riconoscimento del trattamento di don. Questo trattamento fu formalmente riconosciuto da Umberto II° ai Capranica (Pezzana Capranica del Grillo) ed ai Costaguti (Afan de Rivera Costaguti).
Il Prof. Nicola La Marca dell'Università La Sapienza di Roma nella sua recente pubblicazione "La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere" (Bulzoni editore, 2000, v. l° p.106, v. III p. 842) indica le famiglie marchionali romane aventi il "diritto di baldacchino" nei Sacchetti, Patrizi, Serlupi, Costaguti e Theodoli, specificando che tre di esse ricoprivano cariche ereditarie presso la Corte Pontificia. Nella pubblicazione di B. Berthod e P. Blanchard "Tresors inconnus du Vatican" (2001) alla voce "Baldaquin" si citano le sei famiglie marchionali romane dette di Baldacchino, traendo la notizia dall'Archivio Cardelli: Cavalieri (estinta nei Soderini), Astalli (estinta nei Theodoli), Crescenzi (continuata dai Serlupi), Costaguti (Afan de Rivera), Patrizi e più tardi Sacchetti. Le specificate famiglie avevano dunque il privilegio di poter innalzare nelle loro sale il baldacchino con una poltrona rivolta verso il muro per servire nell'eventualità di una visita del Sovrano Pontefice a queste case (molte delle quali facenti parte, come già notato, della "Famiglia Pontificia"), come ricorda il compianto Conte Carlo Cardelli patrizio romano coscritto e Delegato di Roma dell'Ordine di Malta nel suo lavoro inedito dal titolo " La tribune de la noblesse romaine au Vatican", citato ed in parte riportato da Jean Chelini nel suo "Il Vaticano ai tempi di Giovanni Paolo II"(ed. bur). Le stesse famiglie sono elencate anche da Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni in "Appunti per una interpretazione storica della definizione di marchesi di baldacchino " ("Storia del diritto nobiliare italiano", ed. IAGI, 2004, vol. I, pag. 594-6) , da Alessandro Panajia in "I Palazzi di Pisa" ( ed. ETS, 2004, pag.63 e nota 126) e da Maurizio Bettoja in "I mobili araldici" (VivaRoma, marzo 2005).
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